Il maiale è il re della campagna marchigiana. È uno di casa, per secoli animale domestico cui ancora oggi i contadini danno un nome e che portano a passeggio. Da lui dipendeva la vita di famiglie intere e il rito della pista, con la morte del maiale e la lavorazione delle sue carni, è ancora oggi vivo in molte zone dell’entroterra.
Il Ciavuscolo è forse l’insaccato più caratteristico. Nato dal bisogno di sfruttare anche le parti meno nobili del maiale, è un mix di pancetta, costata e spalla con una copiosa aggiunta di lardo: una crema, un patè di maiale da spalmare sul pane fresco, finemente macinato ed arricchito da aglio e vino cotto.
All’insegna della parsimonia è un’altra specialità dell’ascolano, terra che non conobbe i fasti dei grandi signori: la Coppa, salume ottenuto da cotenne, cartilagini, orecchie, lingua e muso. Detto così, non sembra molto appetibile… ma superando l’inevitabile resistenza scoprirete il gusto di questo insaccato fatto bollire ed asciugare, condito abbondantemente con pepe, cannella, noce moscata, aglio, mandorle, pistacchi.
Ci fu un epoca, tra sei e settecento, in cui un salume costava più del prosciutto: era il salame di Fabriano: carne di coscia condita con sale e pepe e lasciata stagionare. Oggi il salame di Fabriano vive una riscossa grazie ad alcuni allevatori impegnati a reintrodurre lo storico maiale nero del fabrianese, la cui carne è fonte del caratteristico sapore di questo prodotto. Tenace e persistente, il “Fabriano” è unico nel suo genere e per il vigore del gusto può costituire un piatto unico.
Numerosi altri derivati del maiale meriterebbero di essere citati: la Soppressata di Fabriano, misto di carni magre e lardo che i contadini scaldavano al fuoco del camino; la Porchetta di Cupramontana, ricca di finocchio selvatico e tenera come burro. Ogni paese e borgo delle Marche ha il suo piatto legato al maiale, cresciuto come uno di casa, nutrito senza risparmio, trattato con gran rispetto per la vita ch’era capace di garantire.